Caso Vannini, la perizia: “Marco si poteva salvare”. I Ciontoli rischiano accusa omicidio volontario
È a un punto di svolta l'inchiesta sulla morte di Marco Vannini, il 20enne morto in casa della fidanzata il 17 maggio del 2015, ucciso da una colpo di pistola partito dall'arma di Antonio Ciontoli, padre della ragazza. Secondo la perizia redatta dai medici incaricati dalla Corte d'Assise di Roma, Marco si sarebbe potuto salvare se i soccorsi fossero stati chiamati tempestivamente e fornendo ai soccorsi tutte le informazioni di quanto accaduto. Invece, secondo quanto appurato dalle registrazioni al 118, da casa Ciontoli partono due telefonate al numero delle emergenze, diverso tempo dopo lo sparo. Come se non bastasse all'arrivo dei sanitari raccontano che il ragazzo sarebbe forse caduto su un coltello, ripulendo intanto il bagno dal sangue di Marco.
Le bugie della famiglia Ciontoli hanno ucciso Marco Vannini?
Così il campo d'imputazione per l'intera famiglia Ciontoli finita alla sbarra, potrebbe diventare di omicidio volontario. Un incidente, per quanto grave, una volta occultato si sarebbe trasformato nella consapevolezza di star provocando la morte di Marco. Tutti avrebbero giocato un ruolo nell'occultare la gravità della situazione di Marco, provocandone la morte, e coprendosi successivamente a vicenda (come dimostrato dalle schoccanti intercettazioni) con un castello di bugie crollato davanti alle evidenze. Antonio Ciontoli, il capo famiglia che ha sparato, la fidanzata di Marco Martina, il fratello Federico e la ragazza Viola Giorgini, la madre dei due ragazzi Maria. Tutti potrebbero essere riconosciuti come complici nella morte del ragazzo, nonostante conoscessero la gravità della situazione.
I risultati della perizia dei medici incaricati dai giudici
Le parole dei periti nominati dai giudici – e riportate oggi dal quotidiano il Messaggero – non sembrerebbe lasciare troppo margine a dubbi: "Una tempestiva attivazione del corretto iter diagnostico-terapeutico si legge nella relazione – avrebbe garantito a Vannini l'accesso ad un livello adeguato di cure e contrastato l'insorgenza delle complicazioni postoperatorie o dello choc ipovolemico protratto, scongiurandone, con elevata probabilità, la morte. Tale intervento, applicato ad un paziente giovane, con funzioni vitali relativamente stabili, che ne hanno sostenuto la vitalità per almeno 3 ore dal momento del ferimento, nonostante il mancato accesso al livello di cure adeguato avrebbe avuto, con ottime probabilità a breve termine, un impatto altamente positivo per restare in vita".