Cocaina dal Sud America a Roma nelle moto d’acqua: arrestata banda di narcotrafficanti
Droga dal Sud America all'Italia nascosta nelle moto d'acqua, per rifornire le piazze di spaccio della Capitale. A finire in manette una banda di narcotrafficanti, nell'ambito dell'operazione denominata ‘Pacific Freestyle'. I militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Roma hanno reso esecutiva un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal locale Tribunale, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia capitolina, nei confronti di sette persone, appartenenti a un'organizzazione dedita all'importazione di sostanze stupefacenti che aveva come base tra Ostia e Fiumicino. Il blitz è scattato all'alba di oggi, martedì 26 maggio, al termine delle indagini. Ora gli arrestati posti finiti sia in carcere che ai domiciliari, dovranno rispondere davanti all'Autorità Giudiziaria delle accuse di traffico internazionale di sostanze stupefacenti a proprio carico.
Le indagini
Nello specifico si tratta di ben 120 chili di cocaina, pura oltre l'80%. I narcotrafficanti facevano arrivare la droga dall'America Latina, importandola attraverso l'attività criminale, attraverso un metodo ben collaudato e sicuri di non essere scoperti. Secondo le informazioni apprese, la droga arrivava a Roma dal Perù tramite il Cile. Le indagini sono partite a marzo 2018, dopo l'arresto di cinque connazionali al confine tra i due Stati sudamericani, trovati in possesso della droga nascosta all'interno di due acquascooter, in uno spazio appositamente scavato nella vetroresina.
I ruoli nella banda
Ognuno dei componenti della banda ricopriva un ruolo prestabilito nella partita. Al vertice c'era Marco D’Arienzo, trentasette anni, alias ‘Maracanà'. Suo braccio destro Rodolfo Pianosi, cinquantacinque anni, detto ‘Il Presidente', che si occupava della pianificazione delle attività. Aveva costituito un’associazione sportiva per giustificare l’invio delle moto d'acqua in Sud America, dove dichiarava fossero dirette per per finalità agonistiche. Grazie al lavoro di un complice, Fabio Niciarelli, classe '72, dipendente della società di spedizioni che curava il trasporto, i mezzi venivano spediti ricorrendo alla pratica doganale di ‘temporanea esportazione', di solito utilizzata per i materiali destinati a gare sportive internazionali, considerata a basso di rischio di controllo. Inoltre le moto venivano riempite di farina, per evitare differenze sul peso al rientro. In Cile la banda aveva un solido appoggio, grazie al quale noleggiava automezzi e acquistava telefonini da fornire ai corrieri della droga. Tramite Mauro Morra, cinquantanove anni, l'organizzazione assicurava denaro alle famiglie degli arrestati. D’Arienzo, Morra, Pianosi e un altro membro della banda sono finiti in carcere, mentre Niciarelli e altri due corrieri ai domiciliari.