Roma ricorda Antonio De Falchi, tifoso giallorosso di 19 anni ucciso trent’anni fa
Oggi sono passati trent'anni dalla morte di Antonio De Falchi, il giovane tifoso giallorosso ucciso il 4 giugno del 1989 a due passi dal Giuseppe Meazza di Milano. Il suo ricordo è ancora vivo nei cuori dei tifosi della Roma e non solo, con i sostenitori romanisti che oggi lo ricordano con striscioni e un murales a Torre Spaccata, il quartiere dove vive la famiglia De Falchi. Nel trentennale della sua scomparsa alcuni supporter giallorossi si sono recati sotto la casa dove viveva Antonio, per tenere viva la memoria del loro amico scomparso. Uno striscione, nascosto dalla nube dei fumogeni rossi e retto dai sostenitori del gruppo "Roma", è apparso a Torre Spaccata poco dopo la mezzanotte, dove si leggeva: "04-06-1989/04-06-2019 Antonio per sempre". L'omaggio è stato poi affisso sopra un cuore a tinte giallorosse, dipinto sulla piazza antistante l'abitazione di Antonio De Falchi. A due passi dallo striscione è apparso anche un murales in ricordo del tifoso romanista, che all'epoca aveva soltanto 19 anni. Il gesto ha commosso il fratello Marco, che sul suo profilo Facebook ha ringraziato i ragazzi vicini alla sua famiglia: "Non ho parole o frasi da dire, ma l'unico pensiero che mi viene in mente è un "Grazie" enorme a tutti voi, a mio nome e quello della mia famiglia".
La storia di Antonio De Falchi, tifoso della Roma ucciso trent'anni fa
Oggi la mente torna indietro di trent'anni, quando Antonio De Falchi, che all'epoca aveva solo diciannove anni, stava andando allo stadio di San Siro a Milano per assistere alla partita della sua squadra del cuore, la Roma. Erano circa le 12 quando venne circondato da una trentina di tifosi milanisti, che l'avevano identificato come "rivale". Alcuni di loro si avvicinano ad Antonio per accertarsi se effettivamente fosse romano. "Ce l'hai una sigaretta?", gli chiedono, ma lui riesce a mascherare l'accento romano. "Sai che ora è?", insistono. Questa volta il tifoso giallorosso non riesce a celare la sua parlata, firmando la sua condanna a morte. Antonio e i suoi cercano di fuggire dagli aggressori, con tre di loro che riescono a far perdere le loro tracce, mentre Antonio viene preso e riempito di calci e pugni, fino alla morte. Soltanto dopo l'autopsia si è scoperto che De Falchi non era morto a causa di quelle lesioni, bensì era deceduto a causa di un infarto, favorito da una leggera malformazione delle coronarie. Al termine dell'inchiesta venne condannato uno dei responsabili, Luca Bonalda, un ventenne riconosciuto dagli amici di De Falchi. Il ragazzo avrebbe dovuto scontare 7 anni di carcere, ma la Corte gli ha infine concesso la messa in libertà.