Roma, Mondadori Electa e CoopCulture indagate per frode fiscale sui biglietti del Colosseo
Roma risulta coinvolta in un'inchiesta partita dalla Guarda di finanza di Milano: un gruppo di imprese che gestisce alcune zone architettoniche della Capitale è accusata di presunta frode fiscale. A finire nell'occhio del ciclone sono in particolare due società, la Mondadori Electa e la CoopCulture. Insieme hanno gestito per oltre vent'anni biglietti e servizi di alcuni dei più grandi siti della Capitale, come il Colosseo, i Fori Imperiali e le Terme di Caracalla. Le società sono ora accusate di una presunta frode milionaria, collegata alla vendita di biglietti e servizi aggiuntivi riguardanti i monumenti da loro gestiti. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo a seguito delle segnalazioni da parte dell'Agenzia dell'Entrate. Il sospetto, in base all'inchiesta coordinata dal pm Stefano Civardi, è che gli utili conseguiti dal gruppo di imprese siano stati in gran parte nascosti, grazie a un probabile sistema di condivisione di guadagni e di uscite messo in atto dalle società coinvolte nel raggruppamento. Entrambe sarebbero inoltre accusate di presunti mancati pagamenti dell'Iva sulle prestazioni erogate, ma la situazione non è chiara a causa della diversità dei vari contratti.
La vicenda
Tutta la documentazione riguardante questi presunti scambi è stata sequestrata ieri mattina dalla Guardia di finanza milanese, presentatasi poi alla Consip. Al momento sono tre i principali indiziati: l'amministratore delegato di Mondadori Electa, un rappresentante di CoopCulture e un funzionario della Consip. Al centro delle indagini non ci sono solo i possibili scambi occulti, ma anche il bando con il quale la Consip aveva assegnato nel 1997 l'affidamento dei servizi a questo raggruppamento. All'epoca la Mondadori Electa e la CoopCulture si chiamavano rispettivamente Elemond e Pierreci e da vent'anni sono rimaste loro a gestire i biglietti e i servizi aggiuntivi di alcuni poli museali romani. In base agli accordi di vent'anni fa circa il 30% del fatturato sarebbe dovuto andare alla Soprintendenza, ma l'ex presidente della commissione Affari costituzionali, Andrea Mazziotti, ha constatato che dal 2001 al 2016 allo Stato sarebbe arrivato soltanto l'11% del fatturato stesso. Le cifre sono ancora da accertare. Ora si attende un nuovo bando di assegnazione, ma l'inchiesta potrebbe stravolgere tutto.