Roma, arrestate le ‘mulas’ colombiane: nascondevano la cocaina nelle parti intime

I trafficanti le chiamano "las mulas". Sono le donne colombiane che vengono utilizzate come corrieri per il trasporto della droga oltre frontiera e che nascondono le sostanze stupefacenti all'interno del loro corpo per sfuggire ai controlli antidroga. Due di loro sono state arrestate martedì 12 settembre rispettivamente presso l’aeroporto di Ciampino e di Fiumicino. Ognuna nascondeva all'interno della propria vagina circa 250 grammi di cocaina in cilindri avvolti in comuni profilattici. La scoperta è emersa nell'ambito di un'articolata e complessa attività investigativa svolta dalla Squadra Mobile di Latina, che ha permesso di mettere allo scoperto una fitta rete di spacciatori operanti tra Latina e Aprilia. Cinque persone sono state arrestate secondo indicazione del gip del Tribunale. Sono scattate misure restrittive nei confronti di altrettanti indagati ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsione.
Le indagini sulla rete della droga: ecco come si riforniva il pusher ‘Zuppardo'
I poliziotti sono riusciti a intercettare una serie di conversazioni sospette a bordo di macchine utilizzate dagli indagati. Dai dialoghi, secondo quanto sostengono gli agenti, si comprendeva che stavano programmando un affare illecito da mezzo milione di euro, denaro che si sarebbero spartiti equamente. Le investigazioni sono iniziate quando un giovane è stato trovato in possesso di circa 12 grammi di cocaina: comprava la droga, come dimostrato dalle attività di indagine, in un negozio di tende. Gli spacciatori si procuravano la cocaina direttamente dai trafficanti internazionali colombiani, che avevano il compito di far giungere la droga in Italia attraverso canali e modalità ben collaudati. Le indagini successive hanno avuto come obiettivo quello di individuare le fonti dalle quali si riforniva il cosiddetto "Zuppardo" e gli altri soggetti che ruotano intorno rete di pusher a lui riferibile, arrivando ad individuare anche i “grossisti” sudamericani. I pagamenti venivano fatti attraverso alcuni operatori di trasferimento monetario internazionale in un’agenzia di Roma. La droga, proveniente dalla Colombia faceva prima tappa dopo in un aeroporto spagnolo, per evitare i più stringenti controlli di frontiera e doganali in Italia.