video suggerito
video suggerito

Pusher e vedette per la ‘ndrangheta a San Basilio: “Sacrificabili, c’è sempre un sostituto”

Organizzavano la manodopera stabilendo paghe, turni, giorni di riposo e reperibilità. Potevano contare su un vero e proprio esercito di persone che si scambiavano i compiti e sostituivano chi veniva arrestato, al quale veniva fornita assistenza economica e legale. Così i boss della ‘ndrangheta gestivano il narcotraffico a San Basilio.
A cura di Natascia Grbic
113 CONDIVISIONI
Immagine

I pusher all'ingresso del palazzo, le vedette sul tetto. Ogni compito era interscambiabile, tutti sapevano cosa dovevano fare in caso dovessero invertirsi i ruoli. Ma, cosa più importante, la ‘ndrangheta poteva contare su un ricambio costante. Il gruppo di persone che si occupava di una delle piazze di spaccio nel quartiere di San Basilio – una delle piazze più grosse della capitale – mutava di frequente a causa dei numerosi arresti effettuati negli anni dai carabinieri della compagnia Montesacro. Novanta persone sono state arrestate in flagranza di reato in pochi mesi, ma per i capi  Alfredo e Francesco Marando – della ‘ndrina di Platì – la ‘manovalanza' non era un problema. Per uno che entrava in carcere ce n'era un'altro pronto a prendere il suo posto. Tutto era rigidamente organizzato, con un meccanismo molto simile a quello usato nelle Vele di Scampia, ormai da anni il modello sul quale si è plasmato lo spaccio a San Basilio e Tor Bella Monaca.

Le mani della ‘ndrangheta nel quartiere di San Basilio

A gestire lo spaccio a San Basilio era la ‘ndrangheta. Sono ventuno gli arresti effettuati questa mattina a Roma, Napoli, Reggio Calabria, Viterbo e Frosinone, tredici le perquisizioni domiciliari a casa di altri indagati. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, spaccio e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso, e tentato omicidio. I sodalizi criminali operativi a via Sirolo, via Mondolfo, via Pievebovigliana e via Corinaldo erano tre. Li collegavano i fratelli Alfredo e Francesco, residenti da qualche anno a San Basilio. Sono i rampolli della famiglia Marando, nipoti del narcotrafficante Pasquale Marando e figli di Rosario, altro membro di spicco della ‘ndrina di Platì. Erano i due fratelli che muovevano la droga utilizzando gli storici contatti della famiglia nel mondo del narcotraffico. In questo modo, contando anche sull'appoggio di chi a San Basilio era nato e ci aveva vissuto, hanno inondato il quartiere di cocaina, prendendo il controllo del territorio. I due non rifornivano solo il gruppo a cui facevano capo, ma anche altre due organizzazioni criminali. E questo aveva portato nelle loro tasche un'ingente quantità di denaro.

La divisione del lavoro in turni

La direzione, la vigilanza, il coordinamento e la gestione dei pusher e delle vedette era in mano ai fratelli Marando. Erano loro a decidere lo ‘stipendio' in base all'attività svolta, e a decidere i turni di ‘lavoro', divisi per orario e stabilendo le varie reperibilità. Non solo: nel caso di contrasti erano sempre loro a cercare di risolvere il problema, e a fornire assistenza legale ed economica in caso di arresto. Chi contravveniva ai ‘turni' stabiliti non la passava liscia: un pusher che si era assentato un giorno intero senza autorizzazione ed era andato al mare con la fidanzata, è incorso nella durissima reazione di Alfredo Marando, che gli aveva detto: "Il giorno di riposo lo puoi prendere solo dopo che hai trovato un sostituto".

113 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views