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Omicidio Vannini: Ciontoli lasciò morire Marco per evitare problemi sul lavoro

Antonio Ciontoli si sarebbe preoccupato di evitare ripercussioni sul lavoro quando ha dovuto scegliere cosa fare dopo aver sparato a Marco Vannini, 20enne di Cerveteri, fidanzato della figlia. A scriverlo è la Corte d’assise nelle motivazioni della sentenza di condanna a 14 anni di carcere per l’uomo, accusato di omicidio volontario.
A cura di Alessia Rabbai
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"Si è comportato con il prevalente intento di attenuare le conseguenze dannose nel suo ambito lavorativo". È la preoccupazione che avrebbe spinto Antonio Ciontoli, sottufficiale della Marina Militare a temporeggiare dopo aver sparato a Marco Vannini, il ragazzo della figlia, morto il 17 maggio del 2015 a Ladispoli. Come riporta Il Corriere della Sera a scriverlo è la Corte d’assise nelle motivazioni della sentenza di condanna a 14 anni di carcere per l'uomo, accusato di omicidio volontario. Severo il giudizio anche verso il resto dei familiari, che non si sono opposti al comportamento dell'uomo: "La moglie e i figli – si legge nella sentenza – sono soggetti adulti, di cultura medio alta, capaci di adottare condotte opposte a quelle tenute".

Richiesta di ricorso in appello contro la famiglia Ciontoli

La procura di Civitavecchia ha fatto appello contro la sentenza di primo grado. Il pm aveva chiesto per Ciontoli 20 anni di reclusione. La condanna stabilita in primo grado è di 14 anni per Antonio Ciontoli per omicidio volontario con dolo, 3 anni alla moglie Maria Pezzillo, 3 anni al figlio Federico e 3 anni alla figlia Martina per omicidio colposo. Assolta la fidanzata del figlio, Viola Giorgini.

La sentenza di primo grado

La sentenza di primo grado risale al 18 aprile scorso: per Antonio Ciontoli i pm avevano chiesto una condanna a 21 anni e 14 anni per i familiari, accusati di concorso in omicidio. Tutta la famiglia Ciontoli era imputata ma nessuno era presente in aula. L’avvocato Miroli ha consegnato un certificato medico alla corte per giustificare l'assenza di Ciontoli. Per coprirsi a vicenda la famiglia, definita ‘un branco' dagli inquirenti, ha mentito più volte, la prima volta, la più grave, quando ha ritardato i soccorsi per Marco Vannini, agonizzante e ferito gravemente nella loro casa sul litorale romano. Se i soccorsi fossero stati puntuali, hanno dimostrato le perizie, il 20enne si sarebbe potuto salvare. Alla lettura della sentenza la madre di Marco ha gridato e anche dal pubblico molti hanno urlato ai giudici: "Vergogna, vergogna".

L'omicidio di Marco Vannini

I fatti risalgono al 17 maggio del 2015 quando il 118 arriva a casa Ciontoli. Qui trovano il ragazzo privo di sensi ma nessuno che gli sappia spiegare cosa sia accaduto né perché Marco stava male. I sanitari poi trovano un foro in un fianco ma ormai è troppo tardi: il proiettile esploso per errore da Antonio Ciontoli ormai sarà fatale per il giovane. Comincia così una catena di omissioni e coperture reciproche tra i membri della famiglia, che provano in tutti i modi prima a far sparire le prove di quel colpo di pistola, poi ritardano la richiesta di soccorsi e infine tentano di concordare una versione dei fatti che li salvi da ogni responsabilità.

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