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L’ospedale Bambin Gesù pronto ad accogliere il piccolo Charlie Gard

“Se questo è il desiderio dei genitori, siamo disponibili ad accogliere il loro bambino presso di noi, per il tempo che gli resterà da vivere”, ha dichiarato la presidente dell’ospedale romano.
A cura di Enrico Tata
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"Se questo è il desiderio dei genitori, siamo disponibili ad accogliere il loro bambino presso di noi, per il tempo che gli resterà da vivere". L'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma è pronto ad accogliere Charlie Gard. "Ho chiesto al direttore sanitario di verificare con il Great Ormond Street Hospital di Londra, dove è ricoverato il neonato, se vi siano le condizioni sanitarie per un eventuale trasferimento di Charlie presso il nostro ospedale. Sappiamo che il caso è disperato e che, a quanto risulta, non vi sono terapie efficaci", ha dichiarato in una nota Mariella Enoc, presidente della struttura romana.

L'ospedale pediatrico ha confermato quanto già dichiarato nei giorni scorsi da don Carmine Arice, direttore dell'Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei e membro della Pontificia commissione per le strutture sanitarie. "Le strutture cattoliche, come il Gemelli o il Bambin Gesù, o altre strutture simili, – aveva detto Arice – arebbero ben disposte ad accogliere questo fanciullo per potergli dare vita. Mi chiedo -perché ci debbano essere dei luoghi nei quali, la vita quando è così fragile, non possa essere altrettanto curata e custodita?. Da parte della comunità cristiana non c'è solo una dichiarazione di solidarietà, c'è anche un intento concreto, per quanto permesso fare, di poter restare vicini a questa famiglia. E qualora chiedessero un aiuto più concreto, offrirlo".

La storia del piccolo Charlie Gard

Charlie Gard, un neonato inglese di dieci mesi, è affetto da una rarissima malattia genetica, la sindrome ‘Sindrome da deplezione del DNA mitocondriale'. Sarebbero meno di venti i bambini malati di questa patologia in tutto il mondo. I medici del Great Ormond Street Hospital, dove il piccolo è ricoverato in terapia intensiva, hanno constatato l'inesistenza di cure per il bimbo. I genitori però non vogliono in nessun modo staccare la spina dei macchinari che tengono faticosamente in vita il piccolo. Il caso è arrivato anche alla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU).

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