
Non basta, non serve e spesso non viene rispettato: il divieto di consumare alcol in strada, contenuto in un'ordinanza anti-movida firmata dalla sindaca Raggi, è inutile. A Roma non serve una notte vuota, triste e buia. La Capitale, viceversa, deve imparare a vivere nelle ore buie. La malamovida o movida selvaggia non si combatte a suon di ordinanze e divieti, ma creando una rete di eventi e luoghi per far vivere la città alla luce della luna. Il decreto firmato dalla prima cittadina non è una novità: ad introdurre il divieto è stato infatti l'ex sindaco Gianni Alemanno e poi Ignazio Marino ha confermato l'ordinanza. Virginia Raggi ha esteso il divieto in quasi tutti i municipi, tranne il Municipio XIV, cioè (ma è una coincidenza) quello in cui risiede. E non è un caso se la scorsa notte molti ragazzi si sono dati appuntamento su Facebook proprio nel territorio escluso dall'ordinanza per protestare contro il divieto e per "spaccarsi abbestia sotto casa del sindaco Raggi".
Come si legge in un rapporto realizzato da Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, in collaborazione con il Censis, dire che la Movida è il male in nome di una città svuotata, dove dopo una certa ora tutto chiude e le relazioni possono essere coltivate solo in contesti privati vuol dire promuovere una visione di città pericolosamente a-sociale, quindi potenzialmente insicura e poco attrattiva. In altri termini una città blindata. In Italia, si legge nel rapporto, circa 15,6 milioni di persone escono di notte e 4,3 milioni si recano nei luoghi della movida, un termine che è nato a Madrid con una connotazione positiva. Uscita dal lungo regime franchista, la capitale spagnola divenne in breve tempo la capitale, virtuosa, della notte.
In Italia il termine ‘movida' è associato generalmente al disturbo della quiete pubblica, ai rumori notturni, alle risse, alle aggressioni notturne, al vandalismo e agli ubriachi. Fenomeni che certamente esistono e vanno contrastati con norme e ordinanze. Il punto centrale, però, è restituire la notte alla città. La malamovida, spiega il rapporto di Fipe, non è figlia solo della perversione di alcuni operatori o della deriva patologica di un pezzo di cittadini, soprattutto giovani, folli di alcol e sostanze psicotrope; socialmente è anche il portato di scelte di politica economica e di policy nei settori del commercio, dei pubblici esercizi e dell’artigianato alimentare, che hanno spianato la strada alla vittoria di operatori avventurieri, attenti solo alla pur legittima massimizzazione della redditività. Di notte gli alimentari e le pizzerie notturne diventano venditori di birra da asporto, mentre i locali rispondono con sciottini a due euro. Proibire la vendita di alcol durante la notte può aiutare nel breve periodo, ma non risolve il vero problema: la soluzione per la malamovida, che certamente esiste, non è una città fatta di notti vuote, ma una città relazionale, sicura ma vibrante e giovane, in poche parole europea. Buona Movida significa, spiega ancora il rapporto, creare luoghi dove le persone possono incontrarsi, stare insieme, beneficiare di ritmi adeguati alla convivialità, alla conoscenza reciproca, al piacere di stare insieme, di scambiarsi idee, intrecciare relazioni. La ‘buona' notte è essenziale per la crescita culturale e sociale della città di Roma.
