In ricordo di Nereo: il senza tetto che “leggeva sempre” ammazzato da un pirata della strada
Moltissimo tempo fa, quando per lavoro percorrevo corso Italia, provenendo da piazza Fiume, notai un uomo seduto su una cassetta della frutta di plastica, ma vuota; si trovava in un angolo di corso Italia attaccato a via Piemonte.
Notai lui, un cane, una bici. Una donna che ogni tanto era con loro. Notai e mi soffermai su di lui perché ogni volta che mi trovavo a passare da quelle parti, era così raro scoprirlo senza un libro in mano. Chi lo sa cosa legge, mi chiedevo.
Me lo chiedevo ogni volta, finché un giorno, un po’ imbarazzata, ma curiosa e desiderosa di parlarci, mi avvicinai; il cane cominciò ad abbaiare. Lui lo calmò, io mi presentai, tenevo in mano dei libri, un classico e una biografia di Pepe Mujica e altre due copie di questo libro le conservavo in borsa, destinate a un’altra redazione. “Io sono Nereo”, mi disse il suo nome. Mi scusai per aver interrotto la sua lettura, gli spiegai il mio amore per i libri, il mio lavoro di ufficio stampa editoriale. Mi raccontò che non era di Roma, che gli piaceva stare lì a leggere, che trascorreva mesi qui e mesi in Veneto. Mi ero sentita così vicina a lui che la mia prima preoccupazione era stata capire se potessi soddisfare o almeno contribuire a questa sua passione.
“Cosa preferisce leggere?”, chiesi. “Leggo tutto, leggo sempre”. Aprii la borsa, tirai fuori una biografia e gliela donai. Mi ringraziò. Era contento come se gli avessi regalato qualcosa di prezioso; anche io, del resto, gli avevo fatto questo dono con quello stesso stato d’animo. “Io passo spesso di qui – aggiunsi – quando verrò da queste parti le porterò un libro ogni volta che potrò”. “Grazie”. E così, in questo angolo di Roma, nel microcosmo di Nereo, mi sono affacciata molte volte. Un giorno mi fermai con una biografia di Roberto Baggio, o di Pelè, non ricordo bene, “Sto promuovendo una biografia romanzata di un calciatore, ma ho con me una copia anche per lei”, dissi. La accettò, molto volentieri e a me sembrava quasi di aver svolto meglio il mio lavoro quel giorno. Mi divertii di più e secondo me anche Nereo quando molto tempo prima gli regalai un giallo, L'enigma di calle Arcos. Delitto a Buenos Aires di Sauli Lostal. “Sembrerebbe che questo Sauli Lostal potrebbe essere stato Borges”, gli spiegai.
Mi sono sempre chiesta che fine facessero quei libri, se li portava in Veneto, o li conservasse chi lo sa dove. Mi sono sempre fermata quando ho potuto, ma senza dilungarmi troppo. Come se non volessi in fondo, invadere quel suo universo che molte persone come me, a Roma, hanno conosciuto, seppure da lontano.
Mi piaceva immaginare che Nereo potesse persino avere una libreria segreta da qualche parte, grandissima e ben fornita.
Quando passavo di corsa lo salutavo da lontano con la mano, o alzando un po’ il tono della voce. Il cane abbaiava, lui lo azzittiva.
Mi pareva ogni volta di salutare il custode di quel pezzetto di quartiere, come se Nereo vigilasse su di esso, mentre leggendo libri girava per il mondo.
Mi pareva, quando lì non lo vedevo, che mancasse qualcosa a quel pezzo di strada.
Mi pareva infatti che quell’angolo di strada fosse quasi suo, non direi mai una casa a cielo aperto per rispetto di chi vive senza un tetto sulla testa, ma non si poteva, ed è difficile anche adesso, attraversare quell’angoletto di Roma senza che un pensiero ci riporti a quest'uomo.
La notizia della sua morte è la notizia di una città violenta, di automobilisti che uccidono e scappano via, che attraversano la città di notte, come di giorno, nel modo in cui si guida in un videogioco o in una pista da gioco. Nel modo in cui si delega sempre a qualcun altro la responsabilità per gli altri. Nel modo in cui si dimentica con estrema facilità che un uomo dovrebbe sentirsi e muoversi liberamente senza minacciare mai la libertà e mettere a repentaglio la vita di qualcun altro.
La morte di Nereo è violenta come violento e disumano è stato il gesto di chi a Trieste ha gettato nella spazzatura gli averi di un clochard.
C'è una violenza nelle nostre città che fa orrore. Una violenza alla quale bisogna continuare a resistere tanto più pare farsi grave.
E’ un orrore oggi pensare perfino che in una città che in queste notti ha raggiunto temperature ghiacciate la natura ha preservato Nereo; ma la violenza e l’incoscienza di un essere umano (disumano, meglio) l’hanno ammazzato ferocemente, abbandonandolo per strada e fuggendo via – come fanno i meschini. Gli infami. Come nessun essere umano Degno farebbe.
L’ultima volta che parlai con Nereo era estate. Cercava il fresco su corso Italia, dalla parte di via Po. Non leggeva, stava lì, seduto, con due bottiglie di plastica che riempiva di acqua. "Aspetti il fresco per leggere?" gli chiesi sorridendo. Mi sorrise, Nereo, per me il guardiano di un pezzetto di Roma; colui che continuerò a cercare nei piccoli universi che in una città come Roma si possono scoprire ancora.