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Il quotidiano Libero condannato per il titolo su Virginia Raggi “patata bollente”

Il quotidiano Libero è stato condannato, sia dalla corte che dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, per il titolo “Patata bollente”, pubblicato in prima pagina il 10 febbraio del 2017 e riferito alla sindaca di Roma Virginia Raggi. “La vita in agrodolce della Raggi”, era l’occhiello.
A cura di Enrico Tata
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Il titolo apparso sul quotidiano Libero
Il titolo apparso sul quotidiano Libero

Un titolo che presenta “evidenti richiami sessuali”, un “dileggio” sessista lo definiscono i giudici. E per questo il quotidiano Libero è stato condannato, sia dalla corte che dall'Ordine dei Giornalisti della Lombardia, per il titolo "Patata bollente", pubblicato in prima pagina il 10 febbraio del 2017 e riferito alla sindaca di Roma Virginia Raggi. "La vita in agrodolce della Raggi", era l'occhiello. Il direttore del giornale Pietro Senaldi si era difeso parlando di “doppio senso, inteso con un’accezione affettuosa”. I giudici, invece, secondo quanto riferisce Prima Comunicazione, hanno confermato con sentenza di primo grado la delibera del Consiglio di disciplina dell’Ordine nazionale dei Giornalisti contro Pietro Senaldi, direttore di Libero, condannato anche al pagamento delle spese legali, circa 20mila euro.

"Questo serva da lezione a chi va oltre una morale satira politica invadendo ed offendendo la dignità personale, per giunta con "dileggio sessista". La determinazione di Virginia Raggi che ha preso sulle sue spalle decenni di pessima amministrazione capitolina, e non solo, deve far riflettere chi intende avventurarsi in titoli irrispettosi", ha commentato il consigliere comunale del Movimento 5 Stelle Nello Angelucci. "Abbiamo criticato anche aspramente una certa stampa e un certo modo di fare giornalismo che offende per primi i professionisti seri della categoria. Ora i tribunali cominciano a darci ragione e a condannare certi comportamenti offensivi e inaccettabili. La nostra Sindaca è stata oggetto in alcuni casi di offese sessiste mai criticate o stigmatizzate. Ora attendiamo le scuse, la condanna non ci basta", il parere di Marco Terranova, un altro consigliere di maggioranza.

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