Il grande ristoratore nelle trattorie acchiappaturisti di Roma: “Un incubo”

"Pizze fatte con il formaggio a siluro, carbonare che nemmeno ci voglio pensare. Menu tradotti maccheronicamente, è proprio il caso di dirlo". E il conto altissimo, quasi da ristorante stellato. Non è l'ultima puntata di Cucine da Incubo, ma un vero e proprio esperimento sociale condotto da un grande e apprezzato ristoratore romano e raccontato da Il Giornale. Lui è Alessandro Pipero, imprenditore di successo nell'alta ristorazione e patron del ristorante "Pipero al Rex" di Roma, una stella Michelin. Per una volta ha voluto abbandonare la sua sala elegante ed esclusiva per fare un'esperienza lavorativa in una trattoria acchiappaturisti nel centro storico di Roma. "Volevo vedere il mondo là fuori. In una location che io me la sogno", ha spiegato. "Ho fatto il trasportatore, ho lavorato per sei anni in un catering, ora sono a casa disperato, ho una moglie e due figli da mantenere", ha scritto sul curriculum che ha inviato a un ristorante a due passi da piazza Navona.
Il racconto dell'esperienza è drammatico: "Quei posti sono frequentati da mandrie di cinesi che non hanno il dovere di conoscere il Gotha degli stellati. Ma che forse avrebbero il diritto di avere un'esperienza gastronomica italiana semplice ma buona. E invece pizze fatte con il formaggio a siluro, carbonare che nemmeno ci voglio pensare. Menu tradotti maccheronicamente, è proprio il caso di dirlo". Panna ovunque, qualità scadente, conto altissimo, 30 euro per pizza e dolce, quasi 60 per un pranzo o una cena completa. Poco meno di un pasto in un ristorante stellato. In quei posti, dice Pipero, "si servono cibi scandalosi in modo scandaloso”. Poi c'è il problema dei camerieri, della loro formazione, del loro stipendio e della cultura dell'accoglienza che manca: "Ci sono camerieri che non hanno il minimo amore per il mestiere e che pensano solo a intascare cento euro magari rubacchiando la mancia per arrivare a fine mese". I ristoranti del centro storico di Roma sono frequentati per lo più da turisti e viaggiatori, che, si lamenta Pipero, certamente non riporteranno nel loro Paese un ricordo buono e veritiero della cucina italiana.