Gemelle siamesi separate al Bambino Gesù: “Unite dalla schiena ora Francine e Adrianne si guardano”
Francine e Adrianne sono arrivate dal Burundi all'ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Gemelle Pigopaghe, ovvero gemelle siamesi unite dalla schiena (una forma molto rara della patologie rappresentando appena l'1% dei casi), sono state ‘separate' con successo dopo una lunga operazione durata 12 ore, con il coinvolgimento di quattro equipe chirurgiche per un totale di 25 persone. L'operazione, avvenuta lo scorso 30 novembre, è arrivata dopo poche settimane dopo un altro successo dell'ospedale romano con l'operazione su una coppia di gemelle siamesi algerine.
Fondamentale per la buona riuscita dell'intervento pioneristico, l'utilizzo di nuove tecnologie, a cominciare dalla realizzazione di modelli 3D su cui i chirurghi hanno simulato l'operazione, studiandone così complicazioni e possibilità di riuscita. Le piccole, unite dalla zona sacrale, condividevano il midollo spinale e la parte terminale dell’intestino ano-retto. La preparazione all’intervento, a cui hanno lavorato medici e specialisti di 5 diverse aree (Neonatologia, Chirurgia plastica, Neurochirurgia, Anestesiologia e Rianimazione, Diagnostica per immagini) è durata 3 mesi e ogni fase è stata studiata e pianificata con l’ausilio di stampe 3D, TAC e risonanze tridimensionali.
"Il percorso clinico e chirurgico delle neonate burundesi rientra nell’ambito delle attività umanitarie dell’Ospedale pediatrico della Santa Sede. – si legge in una nota – Negli ultimi 2 anni i casi pro bono (interamente a carico del Bambino Gesù) sono stati circa 100, provenienti dai Paesi di tutto il mondo". La mamma, Gertrude, e le gemelline sono arrivate in Italia grazie all'impegno della Onlus Kamar, dal villaggio di Butihinda, villaggio nel nord del Burundi dove vive la famiglia, e da dove per raggiungere il primo presidio sanitario disponibile ci volgiono 40 minuti di viaggio.
"La sfida di questo intervento – spiega il prof. Bagolan – è stata separare il midollo spinale senza sacrificare le varie radici nervose; ricostruire velocemente il sacco durale per evitare perdite di liquido cerebro-spinale e ricreare l’area ano-rettale mantenendo integra la funzionalità dello sfintere. Il nostro obiettivo prioritario – conclude il direttore del Dipartimento di Neonatologia – era garantire alle bambine la migliore qualità di vita possibile tenendo conto che torneranno a crescere in un’area geografica in cui i presìdi sanitari sono una rarità".