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Frosinone, truffa alimentare da 35 milioni di euro: tra i marchi Coca Cola, Parmiggiano e Ferrero

La Guardia di Finanza ha arrestato tre persone a Frosinone, ritenute responsabili di associazione per delinquere, truffa aggravata, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, omessa e infedele dichiarazione, falsità ideologica, intestazione fittizia di beni e truffa ai danni dello Stato.
A cura di Alessia Rabbai
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Frosinone: frode alimentare da 35 milioni di euro
Frosinone: frode alimentare da 35 milioni di euro

Coca-Cola, Peroni, Parmareggio, Olio Dante, Parmacotto e Ferrero sono alcuni dei marchi truffati da un gruppo criminale che operava su tutto il territorio nazionale, con sede a Frosinone. Associazione per delinquere, truffa aggravata, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, omessa e infedele dichiarazione, falsità ideologica, intestazione fittizia di beni e truffa ai danni dello Stato. Sono i reati dei quali sono ritenute responsabili tre persone, arrestate a dalla Guardia di Finanza. Il blitz è scattato all'alba di oggi, venerdì 30 novembre. Le Fiamme Gialle hanno dato esecuzione a una ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Frosinone, Ida Logoluso. A.D., 51enne di Cassino, è finito in carcere, mentre G.M., 64enne di Grosseto, e di P.L., 45enne di Baiano, in provincia di Avellino, si trovano agli arresti domiciliari. I ricavi non dichiarati sono di oltre 26 milioni di euro, l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti di oltre 35 milioni di euro e l’evasione dell’Iva pari a circa 10 milioni di euro, mentre le perdite per i fornitori truffati ammontano ad oltre 2 milioni di euro. I sequestri di beni mobili e immobili, conti correnti e quote societarie sono proseguiti nel corso della mattina.

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Le indagini

I militari della guardia di finanza hanno svolto indagini nei confronti di 26 persone e 14 società, a vario titolo coinvolte in un articolato sistema di frode. Gli accertamenti sono partiti da un controllo di un furgone che trasportava prodotti alimentari dei quale il conducente non era in grado di giustificare il possesso né chiarirne la provenienza, informazioni invece obbligatorie per la tutela del consumatore.

Come agiva il gruppo criminale

Il sistema messo in piedi dai responsabili era basato su diverse società cartiere e su vari prestanome riconducibili al gruppo criminale, che acquisivano credibilità sul mercato mediante la presentazione di bilanci non veri e dichiaravano di esportare la merce all’estero per l’Imposta sul Valore Aggiunto. I malviventi si guadagnavano la fiducia dei fornitori, instaurando all'inizio buoni rapporti commerciali basati sulla correttezza. Poi, ordinavano merce costosa e la ricevevano senza pagarla. Gli arrestati rivendevano i prodotti acquistati  a prezzi notevolmente inferiori a quelli di mercato, generando un duplice effetto negativo: da un lato il mancato versamento dell’Iva e delle imposte dirette da parte delle società cartiere, dall’altro l’alterazione sleale della concorrenza nei confronti degli operatori onesti.

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