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Federico Ruffo racconta i momenti in cui hanno tentato di incendiargli casa

Federico Ruffo racconta i momenti che lo hanno visto protagonista del tentato attentanto avvenuto mercoledì scorso nella sua casa ad Ostia. Si tratta con ogni probabilità di un attacco collegato all’inchiesta del giornalista Report sulle infiltrazioni n’dranghetiste tra le curve dei tifosi juventini. Insieme a Fanpage.it ripercorre ogni momento mostrandone dettagliatamente i luoghi e le impressioni.
A cura di Flavia Grossi
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Le telecamere di Fanpage.it sono andate a casa di Federico Ruffo, il giornalista Rai vittima di un tentato attentato incendiario, avvenuto nella sua abitazione ad Ostia e probabilmente collegato alla recente inchiesta realizzata per Report sui rapporti tra ‘ndrangheta e Juventus. Un'ipotesi molto realistica se si tiene in considerazione il fatto che, in seguito alla messa in onda, Ruffo ha ricevuto numerose minacce anche sui social. Minacce che, fino alla mattina dello scorso mercoledì, non si erano ancora fortunatamente concretizzate. "Ero tornato a casa abbastanza tardi, mi sono seduto sul divano e sono crollato – racconta Ruffo – Ad un certo punto ho sentito la ciotola del cane rovesciarsi. Ho aperto gli occhi convinto che fosse il cane che mangiava e invece mi sono accorto che il cane dormiva con me e anzi si è svegliato anche lui ed ha iniziato ad abbaiare anche abbastanza forte". Con ogni probabilità è stato proprio l'abbaiare del fido amico a mettere in fuga i criminali impedendogli di portare a termine quella che poteva trasformarsi in una tragedia: "L'istinto è stato quello di uscire, aprire la porta e capire cosa stesse succedendo – continua, ripercorrendo fisicamente, oltre che con il pensiero, quei momenti – Sono uscito ma era buio, avevo spento le luci quindi ho fatto un paio di passi non vedendo nessuno e, tempo di arrivare davanti alla porta secondaria, sono scivolato perché ero a piedi nudi e a terra era pieno di benzina". Sulla parete un macabro messaggio: una grande croce rossa disegnata con una bomboletta spray, che spiega Ruffo: "Non è una firma è questo che non capisco, la mia impressione è che probabilmente non abbiano finito perché quando  siamo arrivati qui stava colando ancora la vernice" e così dicendo strofina il dito sulla parte più alta del simbolo.

L'Italia è al 48° posto, su 180, nella classifica sulla libertà di stampa, sono 19 i giornalisti costretti a vivere sotto scorta, dal 2006 quelli minacciati sono stati 3660, soprattutto nella capitale e nel sud del Paese. Le pressioni arrivano soprattutto da gruppi mafiosi che non esitano  a irrompere nelle case per rubare computer e documenti dei giornalisti nella migliore delle ipotesi, ad attaccarli fisicamente nella peggiore. La libertà di stampa si trova di fronte a una realtà allarmante, quella a cui si sta assistendo nel mondo, dove solo dall'inizio di quest'anno sono finiti in prigione 299 giornalisti e ne sono stati uccisi 67, ad aggiungersi a questo ultimo spaventoso dato anche 4 operatori.

Federico Ruffo però non si lascia intimidire e, come è giusto che sia, ridicolizza i suoi attentatori togliendogli in questo modo l'illusione di essere forti, di avere anche un minimo potere che invece non deve mai essergli concesso a causa dalla paura: "Quello che è successo è soltanto l'ennesimo passaggio di una situazione se vogliamo anche ridicola, da fuori può sembrare una cosa anche pericolosa ma non mi ricordo di aver mai visto un attentatore che inciampa sulla ciotola del cane. Tanto spessore criminale in questa gente non ci deve essere. Se legittimiamo anche l'idea che ha importanza chi ti viene davanti casa per insultarti, per cospargerti di benzina il pianerottolo, legittimiamo l'idea che possono perfino dirci cosa possiamo e non possiamo fare e non è una cosa possibile questa, significherebbe che il nostro lavoro non avrebbe più senso, tanto vale farne un altro". Ed è esattamente questo il messaggio che deve passare, soprattutto in un momento storico in cui lo Stato legittima la violenza verbale nei confronti dei giornalisti appellandoli come "puttane", "pennivendoli" e "infimi". Bisogna ricordare ogni giorno che è il giornalismo, in particolare quello d'inchiesta a fare la guardia alla democrazia e non può essere lo Stato a fare la guardia al giornalismo – quella si chiama censura – o a screditarlo gratuitamente, creando e alimentando un clima d'odio nei confronti dell'informazione, perché così facendo una situazione già drammatica, come quella riportata dai dati su citati, può solo peggiorare. Ricordarlo significa però anche prendersi la responsabilità, oggi non scontata, di fornire un servizio di qualità dell'informazione, ricordarlo significa mettere davanti a tutto l'idea che si lavora per fornire un diritto e deve essere un servizio degno dell'intelligenza delle persone, perché è quello a spaventare di più quanti delle persone vogliono approfittarsene.

Tanta solidarietà va dunque a Federico Ruffo e a tutti i colleghi minacciati, ringraziandoli per il lavoro importantissimo che svolgono ogni giorno lottando contro mafie, intimidazioni e attentati per fornire il diritto all'informazione.

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