Emanuele morto a 35 anni di coronavirus, colleghi del call center: “L’azienda non ci ha detto nulla”
Il call center di via Faustiniana dove lavorava Emanuele Renzi, la vittima più giovane del coronavirus nel Lazio, rimarrà chiuso per la giornata di oggi, lunedì 23 marzo. Oggi si terrà un sopralluogo da parte dei servizi di prevenzione della Asl Roma 2 presso lo Youtility Center S.R.L , e ci sarà una prima relazione sull'indagine epidemiologica. Le attività, secondo quanto dichiarato a Fanpage.it da una dipendente, dovrebbero riprendere già da domani. "Ci hanno comunicato che già da domani si potrà continuare a lavorare normalmente", spiega Anna (nome di fantasia, N.d.R.). "Non siamo tutelati da nessuno, né siamo a conoscenza se le persone che sono state a contatto con questo ragazzo siano state sottoposte al tampone e quindi escludere che ci possa essere un focolaio all'interno dell'azienda. Ho fatto presente la cosa alle autorità competenti nessuno ha fatto niente".
Secondo quanto riportato da Anna, sarebbero circa 4mila le persone che lavorano all'interno del call center in via Faustiniana 28. "Nessuno in tutto questo tempo ci ha mai avvertito della situazione né tanto meno comunicato tutto quello che stava accadendo". Non solo Anna: sono molti i dipendenti dell'azienda che si chiedono perché l'azienda non abbia chiuso, una volta saputo che Emanuele era positivo al coronavirus. E tra i dipendenti del Youtility Center S.R.L sta montando la protesta.
Emanuele Renzi era stato in vacanza a Barcellona dal 6 all'8 marzo. Il 9 marzo è stato il suo ultimo giorno di lavoro, dopodiché si è messo in auto isolamento. I primi sintomi, con febbre e tosse, li ha avuti l'11 marzo. Il 16 è stato trasferito su indicazione del suo medico al Policlinico di Tor Vergata, dove è stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva. L'altra notte si è aggravato moltissimo ed è deceduto. Sul corpo di Emanuele, che non aveva patologie pregresse, è stata disposta l'autopsia.
"Qualcuno dovrebbe venirci a controllare, vogliamo fare i tamponi ma nessuno ci sta tutelando. Abbiamo paura, per chiudere l'azienda e sanificare ci è dovuto scappare il morto. Ma da domani cosa faremo? Non ci hanno mai fornito mascherine, gel per le mani o guanti. Fino a pochi giorni fa lavoravamo tutti vicini gomito a gomito, le nostre postazioni sono state sistemate ‘a scacchiera' solo qualche giorno fa". A parlare stavolta è Tommaso (nome di fantasia, N.d.R.), un altro dipendente del Youtility Center S.R.L. Anche lui, come Anna, dice che nessuno sapeva nulla delle condizioni di Emanuele. "Non sapevamo che c'era una persona in azienda che si era ammalata, abbiamo saputo ufficialmente quello che era successo solo dopo che il ragazzo è morto e questo è gravissimo. Avevamo notato nei giorni scorsi un atteggiamento strano da parte dei responsabili ma non abbiamo ricevuto nessuna comunicazione. Siamo 4mila dipendenti, possibile che nessuno è stato a contatto con lui e rischia di essere stato contagiato? È credibile pensare che c'è solo una persona contagiata che purtroppo è deceduta?".
Secondo quanto riportato dall'azienda, l'ultima giornata di lavoro di Emanuele sarebbe stata il 9 marzo. Tommaso ha però dichiarato che Emanuele era al call center anche il 10 marzo. "Quel giorno un collega ha chiamato il 112 in preda al panico per segnalare che stavamo lavorando tutti vicini, in una condizione di rischio altissimo. Quel giorno era a lavoro anche Emanuele: tra le persone che hanno parlato con le forze dell'ordine arrivate sul posto, c'era anche lui".
Articolo a cura di:
Simona Berterame
Natascia Grbic