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Covid 19

Coronavirus trovato nelle lacrime di una paziente, Spallanzani: “Da occhi possibile contagio”

Il virus SARS-CoV-2 che ha generalato la pandemia globale da Covid-19, si trova anche nelle lacrime. Lo hanno scoperto i medici dell’ospedale Lazzaro Spallanzani dopo aver effettuato un tampone oculare a una paziente con la congiuntivite. Non solo l’apparato respiratorio, anche gli occhi sono una forma di contagio.
A cura di Natascia Grbic
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Il virus SARS-CoV-2, responsabile della pandemia COVID-19, è attivo anche nelle secrezioni oculari dei pazienti. È quanto scoperto dai ricercatori dell'Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani: lo studio è stato pubblicato sulla rivista Annals of Internal Medicine e sta facendo il giro del mondo. La scoperta è stata fatta dopo che i medici hanno effettuato un tampone oculare a una paziente positiva al virus che aveva una congiuntivite: il coronavirus, quindi, non si replica solo nell'apparato respiratorio, ma anche nelle lacrime. Il risultato di questo studio è di rilevanza mondiale e avrà un grande impatto sulla ricerca e sulla salute pubblica: l'Organizzazione mondiale della sanità è stata immediatamente informata di quanto scoperto prima della pubblicazione dello studio.

Concetta Castilletti, responsabile dell’Unità Operativa Virus Emergenti del Laboratorio di Virologia dello Spallanzani, ha spiegato le implicazioni della ricerca e cosa vuol dire una scoperta del genere nell'ambito dello studio del virus. "Questa ricerca dimostra che gli occhi non sono soltanto una delle porte di ingresso del virus nell’organismo, ma anche una potenziale fonte di contagio. Ne deriva la necessità di un uso appropriato di dispositivi di protezione in situazioni, quali gli esami oftalmici, che si pensava potessero essere relativamente sicure rispetto ai rischi di contagio che pone questo virus".

I medici dello Spallanzani hanno rilevato che anche se nell'apparato respiratorio non c'è più traccia del virus, lo stesso non vale per gli occhi. I tamponi oculari, infatti, sono risultati positivi anche dopo tre settimane che la paziente era negativa al tampone e agli altri esami. Si trattava di una positività molto debole, ma che è stata riscontrata fino a 27 giorni dopo il ricovero. "La scoperta dei nostri ricercatori – precisa Marta Branca, direttrice generale dello Spallanzani – è un altro piccolo tassello che si inserisce nel complicato puzzle di questo virus. La nostra soddisfazione è quella di contribuire, con questa ricerca, a far conoscere meglio i meccanismi di contagio e, quindi, a creare maggiore consapevolezza e sicurezza negli operatori chiamati a confrontarsi con la gestione clinica dei pazienti".

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