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Covid 19

Covid-19 a Roma, il 118 è allo stremo per gestire l’emergenza: “Servono più uomini e mezzi”

Il personale del 118 è in prima linea nella gestione dell’emergenza coronavirus, ricevendo le telefonate e vagliando le condizioni dei pazienti che mostrano sintomi compatibili a cui è stata data indicazione di rimanere in casa. In più gestisce le ordinarie emergenze sanitarie. Gli operatori sono già allo stremo e servirebbero più uomini e mezzi.
A cura di Sarah Gainsforth
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Aumentano ogni giorno i casi sospetti di contagio da coronavirus e con questi le chiamate al 112, il numero unico per le emergenze. «Ci sono circa mille chiamate al giorno di persone che temono di essere state contagiate – dice Francesca Perri, sindacalista Anaao-Anmos, e vicepresidente area centro Italia per la SIS118 – E naturalmente arrivano le chiamate per le altre emergenze, anche queste intorno alle mille al giorno. Le chiamate arrivano al 112, dove non necessariamente risponde un infermiere, che gira le chiamate al 118. Poi all'interno della Centrale 118 invece c'è una linea dedicata solo al Covid dove risponde un medico per dare consigli. Il problema – sostiene Perri – è che il medico è uno solo». Per non intasare il 112 la Regione ha istituito il numero verde regionale 800 11 88 00 per la segnalazione di casi sospetti, e proprio oggi ha dato una nuova indicazione a tutti i cittadini: "Invitiamo a utilizzare il numero verde 800 118 800, attivato dalla Regione Lazio per l'emergenza Covid-19, e il numero 112, attivo su Roma e Provincia, solo ed esclusivamente per emergenze sanitarie".

Il 118 fa una prima verifica telefonica e poi si reca a verificare i casi più sospetti, valutando la presenza dei criteri di definizione di caso sospetto, secondo le indicazioni del Ministero della Salute, ovvero se febbre sopra i 37,5, mal di gola, e difficoltà respiratoria, tenendo presente eventuali patologie preesistenti. «La valutazione non è semplice, soprattutto nel caso di patologie preesistenti, ma anche perché le persone a volte non ammettono i propri spostamenti», spiega Perri. Se il caso viene giudicato “concreto” la centrale operativa del 118 contatta la struttura sanitaria di riferimento che eseguirà il tampone, l'ospedale Lazzaro Spallanzani punto di riferimento per l'emergenza, per concordare il trasporto. Anche in questa fase il problema principale è l’intasamento della linea telefonica e la difficoltà di comunicazione tra il 118 e lo Spallanzani. Di più, la sanificazione delle ambulanze a carico degli operatori del 181 comporta un ulteriore impiego di tempo. «Tutto questo tempo perso è sottratto anche alle emergenze “ordinarie”, per situazioni in cui il tempo è fondamentale» dice Perri, che lamenta anche una situazione di sotto-organico.

«Nel 2004, l'atto aziendale prevedeva un organico di 4.200 tra medici, infermieri, autisti, barellieri e personale amministrativo, cifra mai raggiunta, infatti fino al 2008 eravamo 3200 circa, adesso siamo 1781, a causa del blocco del turnover dal 2007. Cioè l’organico è ridotto a un terzo. Non bastiamo» sostiene Perri. Secondo l'ultima relazione sulla performance, a fine 2018 il personale medico del 118 era composto da 1.787 lavoratori, a tempo indeterminato e non. Si tratta del 76 unità in meno rispetto al 2017, quando già – si legge nell’atto aziendale approvato – “tale dotazione organica, soprattutto in ambito sanitario, è, allo stato, inadeguata alla gestione ed al mantenimento degli attuali standard operativi garantiti“. Quasi il 70% del personale è over 50, di questi il 21% è over 65.

Non va meglio per i mezzi di soccorso che nel Lazio sono 230 (sempre a fine 2018), di cui 120 a Roma. Nel Lazio ci sono 3 centrali operative, 180 postazioni territoriali. Solo a Roma nel 2018 il 118 ha eseguito 331 mila interventi. Le chiamate di soccorso arrivate all'Ares 118 dall'inizio dell'anno sono 73.320. «La metà dei mezzi di soccorso è dell’Ares, l’altra metà è in convenzione. Il direttore sanitario ha appena autorizzato l’implementazione di ulteriori mezzi, ma sempre in convenzione», sostiene Perri, secondo cui bisognerebbe dedicare parte del parco mezzi soltanto all’emergenza coronavirus in modo da gestire separatamente i casi da coronavirus e non.

A fine febbraio per far fronte all’emergenza coronavirus parte del servizio di soccorso è stato affidato “in via d’urgenza” per sei mesi, per un importo di oltre 16 milioni di euro, a società private. L’affidamento, si legge nella delibera, si è reso necessario anche “in carenza di iniziative in merito all’indizione della gara regionale per il piano di re-internalizzazione” e “e in carenza di proprie risorse umane e tecnologiche”. Per sopperire a questa carenza il 30 dicembre 2019 l’Ares aveva indetto una gara per 116 mezzi e le unità di personale necessarie da affidare a privati (enti e istituzioni di volontariato a carattere associativo) per la durata di tre anni, per 42 milioni di euro. La delibera è stata revocata a inizio anno perché in contrasto con il piano di internalizzazione di 40 mezzi di soccorso nell’arco di tre anni previsto dal “Piano di riorganizzazione, riqualificazione e sviluppo del Servizio Sanitario Regionale 2019-2021”. Quella attuale è senza dubbio una situazione di emergenza reale e imprevista. Il problema è che Ares 118, si legge nella delibera, “si trova permanentemente nella necessità di dover integrare il proprio assetto organizzativo con risorse reperite mediante affidamento del servizio a soggetti terzi”.

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