I genitori la cacciano di casa la figlia transgender: “Serve struttura per ragazzi in difficoltà”
Cacciata di casa dai genitori perché decisa a continuare il proprio percorso di transizione. E così Laura (nome di fantasia, N.d.R.) – come tante altre ragazze transgender prima di lei – si è trovata in mezzo alla strada e con il bisogno di essere aiutata. Nelle ultime ore un appello social diffuso da Cristina Leo – portavoce di COLT Coordinamento Lazio Trans – ha raggiunto centinaia di persone che si sono mobilitate per trovare una sistemazione a Laura. Anche le istituzioni si sono interessate al suo problema, mettendosi a disposizione, ma purtroppo non sembra ci siano strutture adeguate per ospitarla nel circuito pubblico. "Il problema è che i servizi di accoglienza del comune sono percorribili, ma ci si va poi a trovare in contesti che non sono assolutamente adatti a quelli auspicabili per una ragazza transessuale cacciata di casa" spiega a Fanpage.it Cristina Leo. "La maggior parte delle volte le persone che usufruiscono di questi servizi hanno problemi molto gravi (come ad esempio la tossicodipendenza), mentre invece chi si trova in mezzo a una strada come Laura perché transgender, ha bisogno di un ambiente protetto".
"Una casa che accolga tutti, a prescindere da genere e orientamento sessuale"
Laura è stata ospite in questo mese da un'amica di Cristina, ma nei prossimi giorni dovrà lasciare l'abitazione. Fortunatamente, il meccanismo di solidarietà che si è innescato grazie alla diffusione del post ha fatto sì che trovasse un'altra sistemazione. Nonostante questo, il problema rimane: perché a Roma continuano a non esserci strutture che possono ospitare persone con le stesse problematiche di Laura. Esiste la Casa Famiglia Refuge LGBT, ma i posti sono limitati e ovviamente non riesce a soddisfare tutte le domande fatte nella capitale. "Sarebbe bello che fosse costruita una casa che accolga in generale ragazzi e ragazze in difficoltà a prescindere dall'orientamento sessuale e dall'identità di genere – dichiara Leo – Questo è il modo in cui si promuove inclusività dal basso. Bisogna però che abbiano un vissuto di esperienza simile. Il fatto è che le persone cisgender non hanno difficoltà ad avere un aiuto nel caso vengano messe alla porta dai genitori e per loro è facile arrivare ad essere accolte anche in strutture gestite da enti religiosi. Diversa è la questione per le persone trangender, spesso vittime di pregiudizi".