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Mario Amato: il 23 giugno 1980 i neofascisti dei NAR assassinavano il giudice con le scarpe bucate

Quando viene assassinato alla fermata del bus Mario Amato stava andando a lavoro da solo, abbandonato dallo Stato senza neanche una scorta mentre indagava sull’eversione nera e i NAR. Un impegno che, al pari del suo predecessore Vittorio Occorsio, pagherà con la vita venendo assassinato da un commando dei Nuclei Armati Rivoluzionari di Mambro e Fioravanti.
A cura di Redazione Roma
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Oggi quarant'anni fa, il 23 giugno del 1980, il giudice Mario Amato veniva assassinato nel quartiere di Montesacro a Roma. A premere il grilletto un gruppo di fuoco dei neofascisti dei NAR. Erano circa le 8.00 del mattino quando Gilberto Cavallini lo raggiunge alla fermata dell'autobus che prendeva per recarsi a piazzale Clodio, ed esplode un colpo di pistola che colpisce Mario Amato alla nuca non lasciandogli spalle. Ad aspettare il killer su una motocicletta c'era Luigi Ciavardini. Quando sul posto arrivano i fotografi un particolare colpisce i cronisti: sotto la suola delle scarpe Amato ha un buco.

Quelle calzature così consumate rappresenteranno il simbolo del sacrificio del giudice abbandonato dallo Stato mentre lottava contro l'eversione nera. Ogni anno a ricordare Amato al monumento posto sul luogo dell'omicidio a viale Jonio intervengono le autorità. Con i rappresentanti delle istituzioni tanti cittadini del quartiere la cui memoria è ancora segnata da quell'omicidio e da quello di Valerio Verbano avvenuto pochi mesi prima, il 22 febbraio sempre del 1980, a poche centinaia di metri. A sparare a Verbano, giovane studente di 19 anni che militava nell'area dell'autonomia, sarà un commando di neofascisti mai identificati.

 Mario Amato: il giudice abbandonato dallo Stato

Quando viene ucciso Mario Amato è solo. Aveva preso in mano le indagini iniziate da un altro magistrato, Vittorio Occorsio, che proprio per le sue inchieste era stato condannato a morte dai gruppi dell'eversione neofascista, sentenza eseguita da Pierluigi Concutelli. Nonostante questo non aveva una scorta, quando viene ucciso va in ufficio in autobus, e nonostante le promesse nessun altro collega gli viene affiancato nelle indagini. Le priorità sono altre dopo il rapimento Moro, le Brigate Rosse prima di tutto, e nessuno sembra volersi occupare del terrorismo nero. Eppure Amato lavora, in solitudine scava e indaga e mette in relazione i NAR di Mambro e Fioravanti con la Banda della Magliana, traccia le strategie eversive del neofascismo italiano e paga questo suo impegno con la vita.

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