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“Mannaggia santa Pupa”: perché il dialetto romano invoca una santa che non esiste?

Santa Pupa è stata da sempre, almeno una volta, sulla bocca dei romani: invocata soprattutto quando si ha a che fare coi bambini e, in generale, senza alcuna intenzione sacrilega. E come si potrebbe, dato che in realtà santa Pupa non esiste? Ma il dialetto romano la conosce, e molto bene: il perché, forse, nell’antica mitologia latina.
A cura di Federica D'Alfonso
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Effige di santa Pupa: la santa che non esiste, ma che è sempre presente nel dialetto romano.
Effige di santa Pupa: la santa che non esiste, ma che è sempre presente nel dialetto romano.

Il dialetto romano, come qualsiasi altro dialetto, ha sempre avuto un rapporto molto particolare con la religione: quale espressione di una venerazione confidenziale, intima, con la divinità, tanto da permettersi di invocarla nei momenti più disparati. E non solo: il romanesco conosce una figura in particolare, nel tempo divenuta famosa anche per i non autoctoni, che è addirittura “inventata”. Sì perché santa Pupa, alla quale molte madri disperate si rivolgono spesso, in realtà non esiste: come nasce allora questo curioso modo di dire?

L’invocazione a santa Pupa: l’etimologia latina

Alla sua figura rassicurante si sono rivolte generazioni di genitori apprensivi, nella speranza di ottenere quantomeno un aiuto morale nei momenti di difficoltà. Ma a lei, capita spesso, si rivolgono un po’ tutti quando l’occasione lo richiede: "mannaggia santa Pupa!" è un intercalare molto frequente, che non viene mai interpretato come una vera e propria imprecazione. Ma perché? Forse perché questa santa nel Martirologio Romano, il calendario liturgico della chiesa cattolica, non c’è.

Tuttavia la sua presenza è sempre stata molto importante per i romani: Gioacchino Belli scrisse addirittura una poesia in suo onore (“senza de lei Dio sa li cascatoni!”), scherzosamente riferita alla sua mansione principale, ovvero quella di proteggere i bambini. Santa Pupa infatti, nell'immaginario comune e quindi anche nel linguaggio, è sempre accostata all'infanzia: e non solo perché a ben vedere il suo nome è una diretta derivazione dalla radice latina “puer” che vuol dire, appunto, fanciullo.

Le antiche divinità romane dei bambini

In latino “pūpa” voleva anche indicare la bambola, altro oggetto vicino al mondo infantile. Ma la motivazione della presenza di questa santa nel dialetto romanesco è ancora più profonda e va oltre il linguaggio: pur non essendo esistita nessuna donna o martire con questo nome, il suo ruolo richiama, nell'immaginario popolare ancora intriso di paganesimo, le antichissime divinità romane a cui era affidata la cura dei bambini.

Il pantheon latino era pieno di divinità minori alle cui cure venivano affidati gli infanti, dal momento della nascita fino alla soglia dell’adolescenza: c’erano le divinità del primo vagito, quelle delle malattie infantili, quelle del sonno e quelle dei sogni. Una delle più famose era senz’altro Antevorta, divinità veggente proveniente dall'Arcadia: secondo il mito, a lei era affidato il compito di scacciare i demoni che succhiavano il sangue alle partorienti e ai bambini più piccoli. Insieme a lei erano spesso invocate Paventia, dea che proteggeva dalla paura e dalle malattie nervose, e Cùba, divinità del sonno.

Con il tempo, e con la cristianizzazione, questo affollatissimo elenco di divinità “puerili” è scomparso, e con esso tutto il mondo di pratiche, rituali e preghiere ad esso connesse: tuttavia il dialetto, ponte fra civiltà lontane nel tempo, ha forse conservato qualcosa di questa cultura che si rivolgeva alle divinità per proteggere i propri figli.

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