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Campi rom abbandonati: chiusi i servizi sociali in attesa del (promesso) superamento

Dopo la morte delle tre sorelle Elizabeth, Francesca e Angelica Halilovic, bruciate vive nel camper dove vivevano con il resto della famiglia, si riaccendono i riflettori sui così detti “campi rom” della capitale. Ci vivono circa 7.000 persone, che con la chiusura di tutti i servizi sociali sono completamente abbandonate a loro stesse, in attesa di un piano di superamento che secondo le associazioni produrrà solo nuove “baraccopoli abusive”.
A cura di Valerio Renzi
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La morte di Elizabeth, Francesca e Angelica Halilovic, una giovane donna di 20 anni e due bambine di 8 e 4 anni, bruciate vive nel camper dove vivevano con i genitori e altri 9 fratelli a Centocelle, ha riacceso i riflettori sulla situazione nei campi rom della capitale. Sono in tutto 7 i ‘villaggi attrezzati', dei veri e propri ghetti etnici di cui da anni anche l'Ue chiede la chiusura, e 11 le aree tollerate. Da qui viene la famiglia Halilovic, storicamente uno dei cognomi importanti nel campo de La Barbuta.

Ma cosa succede nei campi rom della capitale, quelli che tutti vogliono chiudere ma che di  anno in anno perpetuano lo stigma, l'emarginazione e peggiorano i problemi? Difficile a dirlo, perché tutti i progetti sociali (a cominciare dalla scolarizzazione dei minori), sono stati di fatto cancellati tra l'amministrazione Marino e quella Raggi. Nei campi, pardon "villaggi della solidarietà e dell'amicizia", rimangono solo i servizi di sicurezza, con i vigili che si lamentano di quella mansione che non vogliono svolgere e la sicurezza privata.

Quel minimo di coesione sociale che era garantita dalla presenza dentro i campi di operatori che lavoravano, spesso mal pagati, in condizioni difficili e precarie, a una difficile integrazione, a partire dalle scuole e dai bambini, ora è venuta meno. E la vita tra i campi e quello che c'è fuori è sempre più distante. Eppure in questi anni di casi di emersione ce ne sono stati diversi,  mentre che il sistema dei campi continua a funzionare, tenendo prigionieri gli ‘zingari' dei pregiudizi, ma anche delle dinamiche comunitarie. Un sistema che invece di combattere l'illegalità lascia spazio ai piccoli boss dei campi, tra immondizia bruciata (da chi porta lì a smaltire illegalmente i rifiuti) e gestione della microcriminalità.

La giunta della sindaca Virginia Raggi intanto ha approvato un piano per chiudere i campi rom. Un articolato piano che per l'Associazione 21 luglio però riprodurrebbe solo la nascita di nuove insediamenti abusivi, arrivando a coinvolgere solo una piccola parte dei circa 7.000 rom e sinti presenti a Roma, dei quali solo 5.000 censiti. Un piano che secondo la 21 luglio perpetua "politiche di discriminazione" e di cui i tempi e finanziamenti sono tutt'altro che certi. Nel 2021 dovrebbero chiudere i campi de La Barbuta e di Monachina. Un processo lungo dunque. Nel frattempo i luoghi dell'esclusione sono abbandonati, letteralmente, a loro stessi, con le istituzioni che hanno battuto in ritirata. 

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Giornalista pubblicista e capo area della cronaca romana di Fanpage.it. Ho collaborato prima prima di arrivare a Fanpage.it su il manifesto, MicroMega, Europa, l'Espresso, il Fatto Quotidiano. Oltre che di fatti e politica romana mi occupo di culture di destra e neofascismi. Ho scritto per i tipi di Edizione Alegre "La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee" (2015) e per Fandango Libri "Fascismo Mainstream" (2021).
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